AIGA: LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI FUNZIONALE ALL’ATTUAZIONE DEL GIUSTO PROCESSO (EX ART. 111 COST.)

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La separazione delle carriere: tra giusto processo e riforme costituzionali

La separazione delle carriere rappresenta la concreta attuazione del giusto processo previsto dall’articolo 111 della nostra Costituzione”, ha affermato Carlo Foglieni, presidente nazionale di AIGA, durante un intervento a Bergamo presso la Fondazione Serughetti La Porta. L’occasione è stata il convegno dedicato alle proposte di riforma costituzionale e alla loro incidenza sugli equilibri tra i poteri dello Stato.

L’evento, organizzato da Laura Cocucci, referente locale dell’Area democratica per la giustizia, si inserisce nell’ambito della presentazione del libro “Loro dicono, noi diciamo”.

Il dibattito

Il convegno ha visto un’ampia partecipazione di cittadini ed è stato arricchito dagli interventi di esperti del settore, tra cui:

Barbara Pezzini, portavoce del Comitato Bergamasco per la difesa della Costituzione e costituzionalista dell’Università di Bergamo;

Maurizio Romanelli, procuratore di Bergamo;

Armando Spataro, coautore del libro.

Questi relatori hanno espresso preoccupazioni riguardo alle proposte di riforma costituzionale, come il premierato forte, l’autonomia differenziata e la separazione delle carriere. Secondo loro, tali riforme rischiano di violare tre principi fondamentali della Costituzione italiana:

1. La partecipazione democratica;

2. L’indipendenza della magistratura;

3. L’uguaglianza dei cittadini.

La posizione di AIGA

In risposta, il presidente Foglieni ha sottolineato che la giustizia rimane una materia di competenza esclusiva statale, dunque esclusa sia dall’autonomia differenziata sia dal premierato forte. Ha poi ribadito l’importanza della separazione delle carriere per garantire un processo equo:

“Essenziale per rendere il processo più equo e giusto perché lo assegna a un giudice terzo a garanzia dell’imparzialità della decisione”.

Infine, ha auspicato che la proposta di legge sulla separazione delle carriere possa essere approvata al più presto.

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Per ulteriori approfondimenti su questo tema o sulle implicazioni pratiche potete contattare:

STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
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OCF E AIGA CONTRO LA SANZIONE DI IMPROCEDIBILITÀ PER MANCATO PAGAMENTO DEL CONTRIBUTO UNIFICATO

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Riforma 2025: L’OCF e l’AIGA contro l’introduzione della sanzione sull’improcedibilità per mancato versamento del Contributo Unificato

L’Organismo Congressuale Forense (OCF) ha espresso con forza la propria contrarietà all’introduzione della sanzione di improcedibilità legata al mancato pagamento del Contributo Unificato, prevista dall’articolo 105 della Legge Finanziaria 2025. Anche gli emendamenti proposti, che introducono il versamento di un importo minimo per l’iscrizione della causa al ruolo, non riscuotono consensi, venendo definiti dall’OCF come una “barriera fiscale alla domanda di giustizia”, ritenuta di dubbia legittimità costituzionale.

Le critiche dell’Organismo Congressuale Forense

Secondo l’OCF, la norma crea discriminazioni e mina il principio dell’accesso universale alla giustizia, rendendo difficoltoso per molti cittadini avviare procedimenti legali. L’organismo sottolinea la necessità di rivedere radicalmente questa misura, proponendo invece un potenziamento delle attività di recupero delle somme già previste per i soggetti inadempienti.

“È fondamentale garantire il rispetto delle obbligazioni economiche senza violare il diritto all’accesso alla giustizia,” spiegano i rappresentanti dell’OCF, sottolineando come questa normativa rischi di compromettere i principi fondamentali del sistema giuridico italiano.

Anche l’Associazione Italiana Giovani Avvocati (AIGA) ha espresso il proprio dissenso. Carlo Foglieni, presidente nazionale dell’AIGA, ha dichiarato:

“Ci sembra l’ennesimo tentativo di subordinare l’amministrazione della giustizia a un semplice adempimento fiscale.”

Foglieni ha evidenziato come questa norma, così formulata, abbia l’unico obiettivo di favorire la riscossione fiscale, senza considerare le conseguenze processuali e sostanziali che potrebbe comportare. Tra queste, spicca la mancata iscrizione a ruolo di un giudizio, con ripercussioni gravi per i diritti dei cittadini.

Effetti negativi per la classe forense

La norma non solo penalizza i cittadini, ma colpisce anche gli avvocati, che si troverebbero “moralmente obbligati” ad anticipare gli oneri fiscali per conto dei propri assistiti, secondo Foglieni. Questo svilirebbe la funzione del mandato difensivo, trasformando gli avvocati in esattori per conto dello Stato.

L’ANF: “Un provvedimento ingiusto e privo di logica”

Giampaolo Di Marco, segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense (ANF), ha definito questa misura una “gabella ingiusta e ingiustificata”. Aggiunge inoltre che l’obiettivo sembrerebbe essere quello di ridurre artificialmente il contenzioso per mostrare risultati in linea con il PNRR, mascherando un reale problema di gestione della giustizia.

Di Marco critica anche altre disposizioni legate alla norma, tra cui:

• L’iscrizione a ruolo immediata da parte di Equitalia Giustizia senza avvisi bonari preliminari.

• Una nuova sanzione economica per il superamento non autorizzato dei limiti dimensionali degli atti, che potrebbe arrivare fino al doppio del Contributo Unificato già versato.

Conclusioni

L’OCF, l’AIGA e l’ANF si oppongono fermamente a questa normativa, sottolineandone i risvolti negativi sia per i cittadini che per la classe forense. Chiedono con urgenza un ripensamento che eviti di trasformare l’accesso alla giustizia in un privilegio riservato a pochi. La riforma, così com’è, rischia di compromettere gravemente il sistema giuridico e la fiducia dei cittadini nello Stato di diritto.

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PROCESSO TRIBUTARIO: CASSAZIONE N. 32657 SULLA LEGITTIMITÀ DELL’AVVISO DI ACCERTAMENTO E SULLA DELEGA DI FIRMA

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La Cassazione, nella recente ordinanza n. 32657 del 2024, , ha affrontato un tema cruciale nel processo tributario relativo alla legittimità dell’avviso di accertamento e alla necessità di una corretta delega di firma ai sensi dell’art. 42, comma 1, del d.P.R. 29/09/1973 n. 600. In particolare, la Corte ha esaminato il caso in cui il contribuente, nel ricorso in primo grado, abbia sollevato il vizio di illegittima sottoscrizione dell’atto impositivo, sostenendo che il documento fosse privo di una rituale delega di firma.

Legittimità dell’Avviso di Accertamento: Il Ruolo della Delega di Firma

La questione centrale della sentenza riguarda la delegazione di firma in relazione agli atti impositivi. Secondo l’art. 42, comma 1, d.P.R. 600/1973, per la validità dell’avviso di accertamento, è necessario che l’atto sia sottoscritto da un soggetto che abbia una delega adeguata a tale scopo. La delega deve essere espressamente conferita per l’atto specifico e non per le funzioni generali.

Il Potere del Giudice di Verificare la Delega

Quando un contribuente solleva la questione della mancanza di legittimazione del soggetto che ha firmato l’avviso di accertamento, il giudice tributario è investito del potere di verificare il contenuto della delega prodotta dall’Agenzia delle Entrate. Il giudice ha il dovere di accertare se la delega sia idonea a garantire la corretta sottoscrizione dell’atto impositivo e se rispetti i requisiti previsti dalla legge. Tale verifica è fondamentale per stabilire se l’atto impugnato sia legittimo o meno.

La Sentenza e l’Appello: La Non Ultra Petizione

Nel caso in cui il contribuente sia contumace (ovvero non partecipi attivamente al processo), la Corte ha chiarito che il giudice d’appello non incorre in ultra petizione quando si pronuncia sulla delega di firma. Anche in assenza di un appello attivo da parte del contribuente, il giudice può comunque esaminare il contenuto della delega, poiché questa questione è essenziale per la validità dell’avviso di accertamento e per il corretto svolgimento del processo tributario.

Implicazioni Pratiche della Sentenza

  • Per i contribuenti: La sentenza della Cassazione sottolinea l’importanza di verificare la corretta delega di firma per gli avvisi di accertamento ricevuti. Qualora il documento impositivo risulti carente sotto questo profilo, il contribuente potrebbe contestarne la legittimità.
  • Per l’Amministrazione finanziaria: L’Amministrazione deve assicurarsi che la delega di firma sia conforme alla normativa e che i soggetti preposti alla sottoscrizione degli atti impositivi abbiano l’autorizzazione specifica.
  • Per i giudici tributari: La Cassazione ha ribadito il potere-dovere del giudice di esaminare la legittimità della delega, anche in assenza di una contestazione diretta da parte del contribuente.

Conclusioni

La Cassazione, nella recente ordinanza n. 32657 del 2024, conferma l’importanza di una corretta delega di firma per la validità degli atti impositivi e chiarisce che i giudici hanno il potere di esaminare la delega prodotta, anche in fase di appello, per garantire la legittimità dell’avviso di accertamento. Questa sentenza costituisce un importante riferimento per le imprese e i professionisti del settore tributario, offrendo maggiore chiarezza sui diritti dei contribuenti e sugli obblighi dell’Amministrazione finanziaria.

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LAVORO: IL POSSESSO DEL DURC NON BASTA PER OTTENERE SGRAVI CONTRIBUTIVI E L’ESENZIONE DA UN INADEMPIMENTO ACCERTATO

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Ordinanza n. 30788 del 2 dicembre 2024: DURC e Sgravi Contributivi – Cosa Cambia per le Aziende

L’ordinanza n. 30788 del 2 dicembre 2024 della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha chiarito un aspetto fondamentale riguardo all’accesso agli sgravi contributivi e al ruolo del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva). La sentenza approfondisce il legame tra il possesso del DURC e la sussistenza dei requisiti per usufruire dei benefici contributivi previsti dalla legge.

Principi Fondamentali della Sentenza

  1. Il DURC è una Condizione Necessaria, ma Non SufficienteLa Corte di Cassazione conferma che il DURC è fondamentale per l’accesso agli sgravi contributivi, ma non basta. Oltre al DURC, le aziende devono rispettare altre condizioni legali, come l’assenza di violazioni in materia di lavoro e legislazione sociale. Inoltre, devono essere in linea con gli accordi collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative.
  2. Indisponibilità dell’Obbligazione ContributivaLe norme che regolano la contribuzione previdenziale sono inderogabili. Anche se un’azienda ha ottenuto un DURC regolare, in caso di inadempimento oggettivo successivo, l’INPS può procedere al recupero delle somme dovute, limitandosi alla prescrizione.
  3. Rilievo Oggettivo dell’InadempimentoIl rilascio del DURC non esonera le aziende da eventuali inadempimenti accertati successivamente. L’INPS ha il potere di verificare e agire per il recupero delle somme anche se il DURC era stato precedentemente concesso.
  4. Non Vincolatività degli Atti Amministrativi FavorevoliGli atti amministrativi, come il rilascio del DURC, non sono vincolanti per l’accertamento degli obblighi contributivi. La riserva di legge (art. 23 della Costituzione) prevale sugli atti amministrativi, garantendo che le norme primarie siano applicate.
  5. Tutela dell’Affidamento del ContribuenteSebbene l’art. 10 della L. 212/2000 tuteli l’affidamento del contribuente, questo principio non giustifica la mancata osservanza degli obblighi contributivi. La Corte ribadisce che il contribuente non può opporre un affidamento legittimo per evitare il recupero delle somme dovute.

Implicazioni Pratiche della Sentenza

  • Per i datori di lavoro: Il possesso del DURC non garantisce automaticamente l’accesso agli sgravi contributivi. È fondamentale rispettare tutti i requisiti legali previsti per evitare problematiche future.
  • Per l’INPS: L’INPS può procedere al recupero delle somme non versate, anche dopo il rilascio del DURC, nei limiti della prescrizione, se emergono violazioni oggettive.
  • Per l’ordinamento giuridico: La sentenza riafferma la preminenza del principio di legalità e dell’indisponibilità delle obbligazioni tributarie e contributive, rispetto agli atti amministrativi.

Conclusione

La Corte di Cassazione ribadisce l’importanza di bilanciare la tutela dell’affidamento con il principio di legalità. Il DURC rappresenta uno strumento di verifica della regolarità contributiva, ma non può sanare inadempimenti precedenti. Le aziende devono prestare attenzione a rispettare tutte le normative, poiché l’INPS può comunque procedere al recupero delle somme dovute.

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LAVORO: IL COLLEGATO LAVORO PREVEDE LE DIMISSIONI IMPLICITE PER IL LAVORATORE ASSENTE INGIUSTIFICATO

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Il collegato lavoro recentemente approvato dal Senato introduce una norma innovativa per gestire le dimissioni implicite di lavoratori che abbandonano il posto di lavoro senza formalizzare le proprie dimissioni tramite la procedura telematica prevista dall’articolo 26 del Dlgs 151/2015. Questa modifica mira a colmare una lacuna dell’attuale normativa, spesso fonte di complicazioni per i datori di lavoro e di situazioni paradossali.

La disciplina attuale e i suoi limiti

La normativa vigente richiede che le dimissioni siano convalidate tramite procedura telematica per prevenire il fenomeno delle dimissioni in bianco. Tuttavia, in casi di abbandono del posto di lavoro, il datore è obbligato a licenziare il dipendente, anche se quest’ultimo ha dichiarato esplicitamente di voler interrompere il rapporto, ma rifiuta di completare la procedura telematica. Questo comporta il pagamento del ticket Naspi, aggravando ulteriormente la posizione del datore di lavoro.

La giurisprudenza, sebbene non univoca, ha generalmente escluso la possibilità di considerare dimissionario il dipendente attraverso la nozione di “fatti concludenti”, rendendo necessario un intervento normativo per semplificare queste situazioni.

La nuova disciplina

Con il collegato lavoro, si introduce una procedura che consente di considerare dimissionario il dipendente assente ingiustificato, purché vengano rispettati determinati passaggi procedurali:

1. Periodo di assenza:

• Se il lavoratore è assente per un periodo superiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale applicabile (o, in mancanza di una previsione, per più di 15 giorni), il datore di lavoro può avviare il processo.

2. Comunicazione all’Ispettorato territoriale del lavoro (ITL):

• Il datore di lavoro deve segnalare l’assenza all’ITL, che ha facoltà di verificare la veridicità delle informazioni fornite.

3. Effetti della procedura:

• A seguito della comunicazione, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del dipendente e non si applica la disciplina delle dimissioni telematiche.

4. Tutela del lavoratore:

• Il rapporto non si risolve se il lavoratore dimostra che l’assenza è giustificata per cause di forza maggiore o per responsabilità del datore di lavoro (ad esempio, mancato pagamento dello stipendio o violazione delle norme di sicurezza).

Vantaggi della nuova norma

• Semplificazione procedurale:

Riduce il carico burocratico e i costi per il datore di lavoro, evitando il ricorso obbligato al licenziamento.

• Contrasto ai comportamenti opportunistici:

Previene abusi da parte dei lavoratori che abbandonano il posto di lavoro per accedere indebitamente alla Naspi, che non spetta in caso di dimissioni.

• Genuinità della scelta del lavoratore:

La procedura prevede verifiche per garantire che il dipendente non sia ingiustamente penalizzato per assenze legittime.

Criticità e margini di miglioramento

Il testo, pur introducendo una soluzione di buon senso, presenta alcuni aspetti da chiarire:

• Ruolo dell’ITL:

Non è specificato se il controllo dell’Ispettorato sia obbligatorio o solo eventuale, né quali siano le modalità di accertamento.

• Tutele procedurali per il lavoratore:

Non è del tutto chiaro come il dipendente possa far valere eventuali motivi di assenza e in che tempi debba avvenire questa comunicazione.

Conclusioni

La norma costituisce un importante passo avanti nella gestione delle dimissioni implicite, affrontando un problema che ha spesso penalizzato i datori di lavoro. Tuttavia, il successo della nuova disciplina dipenderà dalla chiarezza delle disposizioni attuative, che dovranno garantire un equilibrio tra le esigenze dei datori di lavoro e la tutela dei diritti dei lavoratori.

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RESPONSABILITÀ MEDICA: AZIONE DIRETTA DEL DANNEGGIATO CONTRO L’ASSICURAZIONE DEI MEDICI E DELLE STRUTTURE SANITARIE RESPONSABILI

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Il Decreto Ministeriale 232/2023, entrato in vigore il 16 marzo 2024, ha introdotto l’azione diretta contro le assicurazioni nel contesto della responsabilità sanitaria. Si tratta di una modifica significativa, ispirata alla normativa della RC auto, che consente ai danneggiati di agire direttamente contro le compagnie assicurative delle strutture sanitarie o dei medici liberi professionisti ritenuti responsabili, senza necessità di rivolgersi prima ai responsabili civili.

Principali novità introdotte

1. Azione diretta

L’articolo 12 della legge 24/2017, attuato dal decreto 232/2023, rende possibile per i danneggiati agire direttamente contro l’assicuratore, il quale sarà tenuto al risarcimento senza poter opporre esclusioni contrattuali se non nei limiti previsti dall’articolo 8 del decreto (ad esempio, dolo o colpa grave del danneggiato).

2. Non opponibilità delle eccezioni

Le clausole contrattuali che limitano la copertura (stipulate prima dell’entrata in vigore del decreto) non possono essere invocate per negare il risarcimento al danneggiato, ma rimane il diritto dell’assicuratore di rivalersi sull’assicurato.

3. Effetti su contratti preesistenti

Nonostante le polizze stipulate prima del 16 marzo 2024 non siano necessariamente conformi al decreto, i Tribunali di Cagliari e Milano hanno affermato che l’azione diretta è immediatamente applicabile a tutti i procedimenti avviati dopo tale data, senza che sia obbligatorio un previo adeguamento contrattuale.

4. Regime transitorio

Ai contratti preesistenti è garantita validità per un periodo massimo di 24 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, durante il quale permane una differenziazione nel regime di opponibilità delle eccezioni, da valutare caso per caso.

Pronunce giurisprudenziali

• Tribunale di Cagliari (30 luglio 2024): ha qualificato la disciplina come processuale, rendendola immediatamente operativa secondo il principio tempus regit actum.

• Tribunale di Milano (26 agosto e 10 settembre 2024): ha ribadito la piena applicabilità dell’azione diretta indipendentemente dall’adeguamento delle polizze preesistenti, ma con possibile valutazione delle eccezioni opponibili nel merito.

Implicazioni e dubbi

• Per le compagnie assicurative: l’estensione della regola della non opponibilità delle eccezioni ai contratti stipulati prima del decreto potrebbe comportare nuovi oneri non preventivati, influendo sulle valutazioni di rischio e sulle quotazioni dei premi.

• Per i danneggiati: l’azione diretta rappresenta uno strumento di tutela rafforzato, sebbene la certezza dei risarcimenti possa dipendere dalle particolarità del contratto assicurativo in vigore.

• Transitorietà e impatti sostanziali: alcuni esperti ritengono che la disciplina, oltre agli effetti processuali, abbia implicazioni sostanziali sugli assetti delle polizze, poiché influisce sulla loro operatività esterna (risarcimento) e interna (rapporti assicuratore-assicurato).

Conclusione

L’introduzione dell’azione diretta nelle controversie di responsabilità sanitaria rappresenta un passo avanti per la tutela dei diritti dei danneggiati. Tuttavia, il periodo transitorio richiede un’attenta gestione per bilanciare gli interessi in gioco e chiarire definitivamente i margini di applicabilità delle eccezioni contrattuali per i vecchi contratti.

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VITTIME DEL DOVERE: LA FRAMMENTAZIONE NORMATIVA E L’EXCURSUS GIURISPRUDENZIALE CONFERMANO L’IMPELLENZA DI UN TESTO UNICO

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Il quadro normativo italiano relativo alle vittime del dovere, del servizio e del terrorismo evidenzia problematiche che affliggono da tempo il nostro sistema giuridico: disomogeneità normativa, stratificazione di leggi ed equiparazioni incompiute che generano disparità di trattamento e difficoltà interpretative.

Principali criticità evidenziate:

1. Frammentazione normativa: La coesistenza di più leggi (es. L. 466/1980, L. 302/1990, L. 266/2005, DPR 243/2006) ha prodotto una stratificazione legislativa, talvolta contraddittoria e incoerente.

2. Disparità di trattamento: Le differenze tra le categorie (vittime del dovere, del terrorismo e della criminalità organizzata) sono spesso ingiustificate, nonostante il progressivo ampliamento dei benefici a favore delle vittime del dovere e dei loro superstiti.

3. Vincoli finanziari: L’erogazione dei benefici è subordinata alla disponibilità di risorse finanziarie, creando discriminazioni non solo tra categorie, ma anche tra i membri della stessa categoria.

4. Complicazioni procedurali: L’assenza di automatismi e la necessità di attivazione da parte dei beneficiari, combinata con la burocrazia amministrativa, ha reso l’accesso ai benefici lungo e incerto.

Necessità di un Testo Unico:

Un Testo Unico appare una soluzione auspicabile per:

• Razionalizzare le norme esistenti.

• Fornire definizioni chiare e univoche delle categorie.

• Uniformare il trattamento giuridico e assistenziale.

• Superare le disparità attraverso una equiparazione effettiva, coerente con i principi di eguaglianza sostanziale sanciti dall’articolo 3 della Costituzione.

Criticità verso la realizzazione di un Testo Unico:

• Contingenti limiti economici: L’effettiva parità di trattamento è ostacolata dalla mancanza di risorse adeguate.

• Inerzia legislativa: Proposte di legge e disegni di legge, come hai sottolineato, spesso si arenano nelle Commissioni parlamentari.

• Difficoltà nell’armonizzazione: L’equiparazione normativa e finanziaria delle categorie richiede non solo una riforma legislativa, ma anche un intervento amministrativo significativo.

Passi avanti e prospettive:

Il DPR 243/2006 ha rappresentato un importante passo verso l’equiparazione, sebbene rimanga condizionato dalle coperture finanziarie. Proseguire sulla strada della “progressiva estensione” può essere utile, ma occorre un intervento più incisivo e sistemico.

Un Testo Unico, quindi, potrebbe rappresentare la base per affrontare in modo organico e definitivo le disuguaglianze e gli ostacoli esistenti, garantendo uniformità, trasparenza e certezza del diritto. Sarebbe anche un segnale di rispetto verso chi, sacrificandosi per il proprio dovere o in nome della giustizia, merita una tutela pari e dignitosa.

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CRISI GIUSTIZIA: L’AVV. GENTILE E IL GIUDICE PIAZZA A CONFRONTO A “SOCIETAS” SULLA CRISI DEI GIUDICI DI PACE

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Societas: “Avvocatura e Magistratura a confronto per la Giustizia”

Nella nuova puntata di SOCIETAS, intitolata “Avvocatura e Magistratura a confronto per la Giustizia”, viene affrontato il problema del sistema Giustizia inerente alla crisi gestionale degli uffici dei Giudici di Pace.

Per un maggiore approfondimento sul tema in oggetto sono intervenuti per un costruttivo confronto l’Avv. Grazia Maria Gentile (in rappresentanza dell’Avvocatura e la Dott.ssa Cristina Piazza (in rappresentanza dei Giudici di Pace).

Il sistema degli uffici dei giudici di pace si trova in una situazione di crisi profonda, aggravata dalla carenza di personale e dall’aumento delle competenze attribuite. Le principali criticità sono:

1. Carenza di personale

• Solo il 35% dei Giudici di Pace previsti in organico è operativo. Nei grandi uffici la situazione è peggiore: a Torino, ad esempio, 7 giudici di pace coprono un fabbisogno di 139 posti.

• La scarsità di personale amministrativo aggrava ulteriormente il problema.

2. Sovraccarico di lavoro

• I Giudici di Pace gestiscono un terzo delle cause civili in Italia, con oltre un milione di procedimenti iscritti nel 2023.

• Le cause più frequenti includono recuperi crediti, risarcimenti per sinistri stradali e opposizioni a sanzioni amministrative.

• I ritardi per la fissazione delle udienze arrivano fino al 2026, con un rischio crescente di paralisi.

3. Problemi di digitalizzazione

• Gli strumenti tecnologici e i software disponibili sono inadeguati e non calibrati sulle esigenze operative.

4. Nuove competenze in arrivo

• La riforma Cartabia ha già ampliato le competenze dei giudici di pace, raddoppiando i valori di alcune cause civili (fino a 10mila e 25mila euro per beni mobili e risarcimenti da sinistri).

• Dal 31 ottobre 2025, le soglie saliranno ulteriormente (fino a 30mila e 50mila euro) e verranno aggiunte materie come condominio ed espropriazioni mobiliari.

Proposte per migliorare la situazione

1. Ridurre il periodo all’Ufficio per il Processo: Un emendamento propone di diminuire da due anni a sei mesi la permanenza dei nuovi magistrati onorari all’Ufficio per il Processo, accelerando il loro ingresso negli uffici.

2. Reclutamento straordinario: Servono nuovi bandi per colmare i vuoti in organico.

3. Prolungamento del servizio: Proposta la possibilità di mantenere in servizio volontario i giudici fino a 73 anni.

4. Coinvolgimento degli avvocati: Alcune associazioni forensi suggeriscono che i legali possano emettere direttamente ingiunzioni di pagamento per alleggerire il carico dei giudici di pace.

5. Investimenti strutturali: È urgente un piano di finanziamenti per migliorare le risorse tecnologiche e il personale amministrativo.

da IlSole24Ore
da IlSole24Ore

Conclusioni

Senza interventi strutturali e tempestivi, la situazione rischia di aggravarsi ulteriormente con l’aumento delle competenze previsto per il 2025. Un piano di rafforzamento organico e tecnologico è indispensabile per evitare la paralisi del sistema e garantire l’efficienza della giustizia di prossimità.

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RESPONSABILITÀ MEDICA: MEDICO DI BASE E REATO DI RIFIUTO DI ATTI D’UFFICIO

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Medico di base

La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 24722 del 21 giugno 2024, ha stabilito che il medico di medicina generale non risponde del reato di rifiuto di atti d’ufficio (art. 328, comma 1, cod. pen.) per non aver effettuato una visita domiciliare urgente a un paziente in gravi condizioni (Parkinson avanzato, problemi cardiaci e frattura vertebrale).

La decisione ha evidenziato una distinzione fondamentale tra il medico di medicina generale e il medico di continuità assistenziale (ex medico di guardia). Quest’ultimo è soggetto a un obbligo di pronta reperibilità per gli interventi urgenti, come stabilito dagli accordi collettivi nazionali, obbligo che non si applica invece al medico di base.

La Corte ha altresì sottolineato che il reato di rifiuto di atti d’ufficio si configura solo se il sanitario rifiuta un intervento urgente senza una giustificazione ragionevole, basata su protocolli sanitari e sul contesto specifico. Il giudice può verificare se tale decisione si fondi su valutazioni arbitrarie o ingiustificate. In questo caso, si è chiarito che la gestione dell’urgenza competeva al servizio sanitario di emergenza (118), non al medico di base .

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