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Dispositivo dell’art. 640 bis Codice Penale
<<La pena è della reclusione da due a sette anni e si procede d’ufficio se il fatto di cui all’articolo 640 riguarda contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee [32 quater].>>
Sintesi esplicativa del dispositivo:
La qualificazione della truffa aggravata ex art. 640 bis c.p. come circostanza aggravante della fattispecie di truffa, piuttosto che come reato autonomo, si basa sul fatto che l’art. 640 bis non modifica gli elementi essenziali del reato di truffa, ma introduce un elemento specifico relativo all’oggetto materiale della condotta illecita. In particolare, il legislatore prevede che la truffa riguardi contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni simili, conferendo alla norma un rapporto di specialità unilaterale per aggiunta rispetto all’art. 640 c.p.
Pertanto, gli elementi costitutivi della truffa ex art. 640 c.p., quali l’inganno, l’induzione in errore e l’atto di disposizione patrimoniale, rimangono invariati anche nell’ambito dell’art. 640 bis c.p. La specificità della norma risiede nel tipo di bene giuridico coinvolto, ossia il patrimonio pubblico, che richiede una tutela rafforzata.
È importante notare che, nel contesto dell’art. 640 bis c.p., il danno patrimoniale per l’ente pubblico non si identifica con il lucro cessante (vale a dire la mancata acquisizione di un beneficio), ma con il danno emergente, che si concretizza al momento dell’effettiva elargizione indebita dei fondi o dei benefici oggetto della truffa. Il momento consumativo del reato coincide quindi con la realizzazione di una perdita effettiva per l’ente, che si verifica con la concessione indebita del beneficio economico.
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PREMESSA
(C.p.: art. 640 bis c.p.; art. 640 quater)
Prima di affrontare il caso specifico è fondamentale effettuare un’analisi dettagliata sulla consumazione del reato di truffa aggravata ex art. 640 bis c.p., con particolare riferimento alla possibilità di applicare il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. La questione centrale riguarda la delimitazione del momento consumativo della truffa, essenziale per stabilire la legittimità del sequestro.
La truffa ex art. 640 bis c.p. è caratterizzata dall’inganno, in cui l’agente, tramite artifici o raggiri, induce la vittima a un atto di disposizione patrimoniale, producendo un danno e un profitto ingiusto. Perché il reato si consumi, è necessario che si verifichi una perdita effettiva del patrimonio della vittima, coerentemente con una visione economica del danno. La Cassazione, con diverse sentenze, ha ribadito che il reato si perfeziona solo con l’effettivo conseguimento del bene o del vantaggio patrimoniale, non al momento dell’insorgenza dell’obbligazione o del riconoscimento formale di un credito.
La norma che prevede la confisca per equivalente (art. 640 quater c.p.) può applicarsi solo ai reati consumati. Questo principio esclude il tentativo di truffa aggravata, in quanto il tentativo costituisce una fattispecie autonoma e distinta rispetto al delitto consumato. La giurisprudenza ha chiarito che il divieto di analogia in malam partem impedisce di estendere l’applicazione del sequestro preventivo a casi non espressamente previsti dal legislatore.
Nel caso del Superbonus, il reato di truffa aggravata si consuma non con il mero riconoscimento fiscale del credito d’imposta, ma con la sua cessione o compensazione effettiva, ossia quando si realizza una concreta perdita per lo Stato. Pertanto, prima di questo momento, il comportamento potrebbe configurarsi solo come un tentativo di reato, non suscettibile di confisca per equivalente.
In sintesi, la Corte ha precisato che, per la truffa aggravata ai sensi dell’art. 640 bis c.p., la consumazione del reato richiede la concretizzazione del danno patrimoniale, consolidando un orientamento volto a distinguere nettamente tra tentativo e reato consumato.
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SENTENZA SUL CASO DI SPECIE
Cassazione pen., Sez. 3, 11 giugno 2024, n. 23402
La sentenza n. 23402 dell’11 giugno 2024 della Corte di Cassazione offre un chiarimento significativo sul momento consumativo del reato di truffa aggravata ex art. 640 bis c.p. rispetto alla fattispecie di indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316 ter c.p., con specifico riferimento all’applicazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. Il caso trattato riguarda un sequestro preventivo disposto per reati legati al Superbonus, contestando l’errata configurazione del reato come truffa consumata.
La Corte ha ribadito che, per configurare la consumazione del reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, è necessario un danno economico concreto e non solo formale. Nello specifico, ha affermato che la truffa si consuma non al momento del riconoscimento del credito d’imposta da parte dell’Agenzia delle Entrate, ma solo quando il credito viene effettivamente utilizzato, ad esempio mediante riscossione o compensazione. Tale precisazione è fondamentale perché il danno per lo Stato si verifica solo con la concreta perdita del patrimonio pubblico, ossia quando il credito fittizio viene sfruttato.
La sentenza sottolinea la differenza tra truffa aggravata e indebita percezione di erogazioni pubbliche: mentre per quest’ultima fattispecie ex art. 316 ter c.p. il momento consumativo coincide con il riconoscimento del beneficio (ad esempio, un credito d’imposta), nel caso della truffa aggravata è necessario il verificarsi di un danno economico reale. Pertanto, l’utilizzo del credito di imposta, sia per riscossione che per compensazione, costituisce il momento in cui il reato si perfeziona.
Inoltre, la Corte ha confermato che la confisca per equivalente può essere applicata solo in caso di reati consumati, come previsto dall’art. 640 quater c.p. Il tentativo di truffa non rientra nell’ambito di applicazione della confisca per equivalente, in quanto il legislatore ha limitato tale misura ai delitti consumati e non a quelli tentati, come chiarito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 40985 del 2018.
La decisione consolida l’orientamento secondo cui il tentativo di truffa costituisce una fattispecie autonoma, con una diversa rilevanza penale rispetto alla truffa consumata. Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente non è quindi ammissibile per il tentativo di reato, in conformità al principio del divieto di analogia in malam partem, che impedisce l’estensione delle norme penali oltre i casi espressamente previsti dalla legge.
La sentenza rappresenta un passo importante verso una maggiore certezza giuridica in materia di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, fornendo criteri chiari per distinguere il momento consumativo e le conseguenze in termini di misure cautelari reali.
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MASSIMA REDAZIONALE
Esattamente, in caso di truffa aggravata ex art. 640 bis c.p. mediante l’utilizzo di crediti d’imposta fittizi generati attraverso false asseverazioni, il profitto del reato si configura unicamente con i proventi ottenuti dalle cessioni dei crediti fittizi quando questi vengono effettivamente riscossi o utilizzati in compensazione. Il momento consumativo del reato si realizza solo nel momento in cui si verifica una concreta perdita economica per lo Stato, ossia quando il credito viene utilizzato per ridurre obbligazioni fiscali o incassato come denaro.
Fino a quando i crediti rimangono non utilizzati o non compensati, non si può configurare un danno patrimoniale reale per la pubblica amministrazione, e quindi non si realizza il reato di truffa consumata, ma solo un tentativo di reato. Questo implica che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere applicato soltanto in relazione ai proventi effettivamente conseguiti mediante la cessione dei crediti d’imposta e il loro successivo utilizzo o compensazione.
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