La liquidazione del danno biologico differenziale richiede una valutazione attenta della causalità giuridica, partendo dalla percentuale complessiva del danno. Nel caso specifico, si considera l’errore medico di somministrazione di un farmaco che ha causato un’ischemia cerebrale a un paziente ricoverato in ospedale a causa di un arresto cardiaco.
Infatti, il medico curante non aveva considerato anche la presenza di un trauma cranico nello stesso paziente, per il quale il suddetto farmaco era controindicato e proprio a causa della sua somministrazione è insorta al medesimo paziente una ischemia cerebrale.
Pertanto, nel calcolo del risarcimento del danno differenziale, in riferimento alla fattispecie concreta succitata, bisogna valutare il 50% di danno ascrivibile all’agente medico (ischemia cerebrale), dal quale si deve sottrarre il 30% non imputabile all’errore medico (arresto cardiaco). Il risultato, pari al 20%, deve essere calcolato considerando le specifiche modalità di liquidazione, che, a causa della progressione geometrica e non aritmetica, del punto tabellare di invalidità, porterà a un importo superiore rispetto a una liquidazione calcolata da 0 a 20.
Invero, è fondamentale verificare se le due tipologie di postumi (quella indipendente dall’errore medico e quella provocata dall’errore stesso) siano in concorrenza, piuttosto che semplicemente coesistenti. Solo se si dimostra che i postumi derivanti dall’infarto aggravano la situazione già compromessa dai postumi dell’ischemia cerebrale, si può riconoscere il diritto al risarcimento del danno differenziale, seguendo il criterio di valutazione indicato.
Al postutto, il risarcimento del danno biologico differenziale richiede un approccio attento che consideri la complessità delle singole menomazioni e le loro interrelazioni, applicando un’analisi rigorosa per determinare l’effettiva responsabilità e l’entità del danno da liquidare.
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Corte di Cassazione, civ., sez. III, Ordinanza del 30 luglio 2024, n. 21261
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